EPD VS PEF
Position paper ANDIL su: EPD (Dichiarazione Ambientale di Prodotto) vs PEF (Impronta Ambientale di Prodotto
MENTRE SI DIFFONDONO LE DICHIARAZIONI AMBIENTALI DI PRODOTTO (EPD), ECCO CHE SPUNTA L’IMPRONTA AMBIENTALE DI PRODOTTO (PEF)
La metodologia LCA (Life Cycle Assessment) è ormai internazionalmente riconosciuta quale metodo consolidato per la valutazione di carichi ed impatti ambientali nel ciclo di vita di una molteplicità di prodotti e servizi, tra i quali gli edifici e i materiali da costruzione. Le informazioni derivate da una analisi LCA possono oggi essere espresse, tramesse e condivise attraverso Dichiarazioni Ambientali di Prodotto (EPD) o Impronte Ambientali di Prodotto (PEF), entrambe basate su informazioni quantificate e verificabili.
Per garantire informazioni ambientali comparabili, nel 2004 la Commissione Europea ha dato mandato al CEN (European Committee for Standardization) per lo sviluppo di metodi orizzontali standardizzati per la valutazione delle prestazioni ambientali integrate degli edifici e dei materiali da costruzione. Il Comitato Tecnico TC350 del CEN ha concluso i lavori pubblicando una serie di standard tra cui la EN 15804:2012+A1:2013 Sustainability of construction works - Environmental product declarations - Core rules for the product category of construction products e la EN 15978:2011 Sustainability of construction works - Assessment of environmental performance of buildings - Calculation method.
La norma EN15804 fornisce regole fondamentali per la realizzazione di etichette ambientali di tipo III, così come definite dalla ISO 14025, oggi comunemente conosciute con l’acronimo EPD, ossia Dichiarazioni Ambientali di Prodotto per prodotti da costruzione. Tali dichiarazioni, poiché basate su uno standard europeo armonizzato, possono essere utilizzate all’interno del mercato Europeo come strumento validato per fornire le informazioni ambientali fondamentali sui prodotti da costruzione, superando così eventuali barriere nazionali derivate da schemi o protocolli locali, in risposta a quanto auspicato dal Regolamento Prodotti da Costruzione n. 305/2011 (CPR) per la rimozione delle barriere tecniche al commercio dei prodotti da costruzione e alla loro libera circolazione nel mercato interno. Dal 2008, si sono quindi sviluppati prima in Gran Bretagna poi in Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Paesi Bassi e Svezia sistemi e protocolli di certificazione specifici per i prodotti edilizi basati sugli standard CEN e, dal 2016, anche l’Italia ha il proprio sistema di certificazione nazionale EPDItaly per materiali da costruzione in grado di rilasciare EPD conformi alla EN15804 e quindi mutuamente riconosciute sul mercato europeo. Dopo il rilascio nel 2012 della prima versione della norma EN 15804, i produttori di materiali da costruzione hanno adottato la metodologia LCA e le EPD quale documento ufficiale per la comunicazione delle informazioni ambientali e, ad oggi, si contano oltre 5000 EPD certificate in Europa per materiali da costruzione, che costituiranno la base necessaria per una prossima valutazione ambientale del ciclo di vita degli edifici.
Vero è che la rilevanza delle EPD basate sulla EN15804, oggi strumento volontario, potrebbe subire un incremento notevole qualora fossero esplicitamente citate dal CPR quale strumento per la misurazione dell’uso sostenibile delle risorse naturali e degli impatti delle opere edilizie sull’ambiente. Purtroppo, il CPR fa riferimento all’EPD sono nella introduzione e non specificatamente negli articoli e ad oggi non è ancora chiaro come debba essere risolta la verifica del settimo requisito quadro (BR 7).
In questo scenario di incertezza normativa ma di grande fervore dell’industria e del mercato, nell’aprile 2013 la Commissione Europea, nell’ambito dell’iniziativa per la creazione di un Mercato Singolo dei Prodotti verdi (Single market for Green products), ha lanciato una serie di iniziative volte a ridurre i costi aziendali e la confusione dei consumatori di fronte alla molteplicità di certificazioni ambientali ed etichette ecologiche oggi presenti, proponendo la definizione di una metodologia per la misurazione della prestazione ambientale dei prodotti nel ciclo di vita denominata Product Environmental Footprint (PEF). La metodologia PEF prende spunto ma non ha l’obiettivo di essere completamente conforme agli standard LCA (ISO 14040/14044) e alle dichiarazioni ambientali di tipo III (ISO 14025), generando, di conseguenza, un inevitabile conflitto con gli standard CEN di più recente pubblicazione e ormai consolidato impiego da parte del mondo delle costruzioni, dei quali la EC ha immediatamente richiesto l’allineamento.
Numerosi e consistenti sono infatti le differenze tra le due metodologie, primo fra tutti l’obiettivo primario delle PEF di consentire il confronto tra gli impatti ambientali di prodotti diversi, attraverso lo sviluppo di Regole di Categoria di Prodotto (PEFCRs), specifiche. Confronto esplicitamente limitato alla scala di edificio dalla EN15804 che chiarisce, nel testo della norma, come il confronto delle prestazioni ambientali tra prodotti da costruzione assuma rilevanza e sia tecnicamente realizzabile esclusivamente nel contesto di applicazione del prodotto all’edificio.
Tale obiettivo, rimane forse oggi, a chiusura dei progetti pilota PEF e al termine della rettifica dello standard EN15804, l’unico pesante disallineamento tra le due metodologie (Tab.1).
EN15804:2012 + A1 |
PEFCRs |
Definisce Regole di Categoria di Prodotto valide per i prodotti da costruzione |
Fornisce regole specifiche per calcolare l'impronta ambientale di un determinato gruppo di prodotti, compresi parametri per il benchmark ed eventualmente, la misurazione del livello di rendimento. |
Definisce una struttura armonizzata per la elaborazione, verifica e comunicazione delle informazioni ambientali |
Ogni PEFCR si concentra sulle fasi del ciclo di vita, sui processi e sulle categorie di impatto più rilevanti, per il gruppo di prodotti in esame |
Le informazioni ambientali sono calcolate e restituite in forma modulare a rappresentare i diversi stadi dell’intero ciclo di vita del prodotto |
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Le informazioni contenute in una EPD non costituiscono asserzioni comparative di per sé |
Una dichiarazione conforme a un PEFCR può essere utilizzata per effettuare confronti e asserzioni comparative. |
Gli impatti ambientali sono calcolati ed espressi in 7 categorie di danno |
Gli impatti ambientali sono calcolati ed espressi in 15 categorie di impatto |
Tab. 1 Confronto tra le impostazioni metodologiche della prima versione della EN15804 e delle PEFCRs
Le impostazioni metodologiche tra i due modelli sono apparse fin dall’inizio discordanti (tab. 1), peraltro su principi essenziali quali l’approccio modulare, la definizione dei confini del sistema con particolare riferimento alla fase di fine vita, la scelta dei modelli di valutazione di impatto, delle unità di misura degli indicatori e dei fattori di caratterizzazione, tanto da richiedere una procedura ufficiale di revisione dello standard. Di conseguenza, la nuova versione dello standard EN 15804/ prA2:2018, al momento ancora in corso di approvazione, contiene nuove specifiche ed indicazioni riguardo alle tematiche messe in evidenza e richieste nell’ampliamento del mandato quali, nello specifico:
- indicazioni più dettagliate ad uso dei TC (Comitati Tecnici) di prodotto per la definizione della unità funzionale nella elaborazione di EPD cradle to gate
- estensione dei moduli obbligatori in una EPD ai moduli A, C e D
- sviluppo di una formula di calcolo per la definizione del fine vita (EoL End of Life) dei moduli mandatori A, C e D
- allineamento ai principi PEF in materia di compensazione delle emissioni di carbonio (carbon offset)
- allineamento ai modelli PEF di valutazione di impatto, alle unità di misura degli indicatori, e ai fattori di caratterizzazione, integrando le nuove categorie di impatto e i nuovi indicatori
- utilizzo della nomenclatura ILCD
- evidenziazione e restituzione separata delle emissioni e sottrazioni delle fonti fossili e biogeniche, in allineamento ai principi PEF
- restituzione quale informazione ambientale aggiuntiva dei dati relativi alla sottrazione e tardiva ri-emissione di carbonio
- definizione di regole più precise perla valutazione della qualità dei dati
- possibilità di aggregazione dei dati di impatto relativi ai moduli A-C1 in un dato unico, nella comunicazione Business to Consumers
- sviluppo di regole di benchmark e regole per la definizione di prodotti di riferimento sulla base di scenari predefiniti.
Tutto ciò premesso, appare evidente l’attuale stato di incertezza in merito al futuro delle certificazioni ambientali di prodotto: a fronte di un mercato che sembra aver già fatto le proprie scelte e finalmente avviato un processo consapevole di diffusione e comunicazione delle prestazioni ambientali dei prodotti, sussiste una volontà politica di prescindere dallo sviluppo di sistemi coordinati a livello europeo di elaborazione, verifica e certificazione di materiali ed edifici, fortemente voluti e mantenuti dalla industria stessa. Allo stato attuale, in Italia, i ritardi nella definizione della metodologia PEF e il timore in merito ad eventuali future applicazioni cogenti della stessa (non solo con riferimento ai CAM o al progetto Made Green in Italy), e stanti gli alti costi di progetto, rallentano di fatto lo sviluppo di un modello di certificazione ormai diffuso nel resto d’Europa, con il rischio di lasciare i prodotti italiani privi di un riconoscimento ormai preteso nel resto dell’Europa.
L’industria dei laterizi, come altri comparti industriali delle costruzioni, ha scelto la strada della Dichiarazione Ambientale di Prodotto e non si comprende la strategia comunitaria di introdurre una metodologia alternativa, come la PEF, che altro non fa che creare confusione, compromettendo il lavoro fatto dalle imprese e dai settori, ritardando il processo di comunicazione delle prestazioni ambientali dei prodotti.
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